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Roche – A fianco del coraggio
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Mia madre conta ancora
Mia madre conta per non pensare più. Eppure, se le chiedo se ricorda Cartesio, risponde di no, che no, non lo sa chi era. Ha insegnato per anni matematica nei licei ingrigiti e spaccati di Reggio Calabria, ma adesso si rifiuta di aprire un libro di matematica, anche solo di sentirne l’odore delle pagine. Lei lo sa benissimo chi era Cartesio, solo non me lo vuole più raccontare. Non a me, non a nessuno più. Credo sia in lutto, per un milione di buoni motivi. Un giorno è tornata a casa con i capelli corti. Le si vedeva bene la nuca bianca. Forse li ha tagliati per il dolore. Erano tagliati anche molto male. Non era morto nessuno, nessuno ci era riuscito, nessuno sperava di morire tra di noi, soprattutto lei. Li porta ancora corti, sulla nuca, solo più bianchi e candidi. Adesso non conta quasi più. Se lo fa, lo fa per contare i punti a maglia. Fa solo quello, dalla mattina alla sera, a ripetizione, perché le piace moltissimo, con le cuffie della tv impostata su La 7. Le va bene tutto di quel canale, forse anche il giallo della scritta le dà un poco di allegria e consolazione quando ne manca. Le piace tanto anche come parla Mentana, le parole che utilizza, credo anche che gradirebbe un confronto diretto con un uomo intelligente. Crolla speso la sera, senza avere mangiato quasi niente. Uno, due, tre, rieccola mia madre, eccola che conta. Questo mi rasserena, vuole dire che sta meglio. Uno due tre, gira intorno al ferro e ricomincia, uno due tre. Ormai si sente sarta nelle ossa. Quelle che riesce a muovere. Le altre sono andate di brutto, ma si rifiuta di essere supportata. Non è troppo orgogliosa, è solamente troppo testarda. La sedia non si muove da sola, quindi anche le sue cosce possono riposarsi, dopo avere tanto camminato, puntato i piedi ed il sangue, e gridato, anche per me, tanto che ne capisco persino il limite toccato. Uno, due, tre. Mi ha sempre raccontato che da ragazza saliva sugli alberi. Per il suo bene, credo, avrebbe dovuto direttamente attaccarsi ad una mongolfiera e scappare via e scomparire nel cielo per sempre. Non per morire, ma per essere più felice, forse. Si sarebbe salvata da me. Invece è rimasta in trincea, paladina della giustizia, per cambiare per forza qualcosa che non può cambiare. Ha sparato con le armi che possedeva, verso il cielo, poi di nuovo a terra. Tutto questo più volte. Non ci sono stati feriti gravi, anche se a lei tolgono pezzi, ogni tanto, non per colpa sua. Lei ricompone quello che rimane, lo copre e fa finta che nulla sia successo. Ma fa solo finta. La invidio per questa forza. Uno due tre. Una volta chiamava il mio nome, per parlare con me degli ultimi libri usciti, di Rodari, del Giardino dei pensieri bambini. Adesso cosa pensa lei di me. Vai a saperlo. Non me lo chiedo neanche più. Non glielo chiedo neanche più. Adesso non posso neanche più vederla contare, ma posso solamente immaginarlo da lontano. Mamma conta un poco insieme a me, per cortesia.