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Roche – A fianco del coraggio
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Mai stato bravo a parlare. Buttatemi nella mischia, in famiglia o fra estranei, poco importa. Chi dirà meno parole sarò io.
La chiacchierona è mia moglie. Per strada saluta gente, scambia due parole con tutti. La naturalezza nel parlare la rende amabile e solare.

È nel suono delle parole che pulsa la vita.

Il 22 dicembre 1996 la sorella di mia moglie è morta. Tumore al seno, 38 anni. Roba da spegnere le parole per sempre.
Non era sposata. Il suo compagno l’accudì giorno e notte. Dedizione assoluta: un sentimento totale, più immenso dell’amore. Fino alla fine.
Prima dell’estate lo persuademmo a dargli il cambio per due notti.
Il male vigliacco era tornato, malgrado l’asportazione del seno, malgrado pesanti cicli di chemioterapia. Lei fu categorica. Rifiutò la medicina ufficiale; si curò a casa con metodi alternativi. Ci lasciò allibiti: per follia, risolutezza e coraggio.
Lui non la lasciò mai sola. Era a pezzi, non dormiva da settimane.

La prima notte la fece mia moglie.
La seconda io.

Nella quiete notturna, mia cognata ebbe parole di fuoco intervallate a stelle evanescenti. L’ascoltai muto: rispondevo solo se mi poneva domande. Bloccata a letto da mesi, sfibrata, martoriata dai dolori — e io? Incapace d’una parola di conforto! All’alba mi vergognai del mio silenzio. Tuttavia lei me ne fu grata. Doveva liberarsi di tutti quei pensieri e io avevo saputo ascoltarla. A modo tuo, disse, per me ci sei stato.

Affrontò un calvario, una montagna impossibile da scalare.

Per noi fu una preoccupazione continua, una sconfitta annunciata.
Sposati da quattro anni, non riuscivamo ad avere figli. Divoravamo cioccolatini in quantità industriale. Non ci addolcirono la pillola, alla fine.

Le sue ultime parole: sono serena, non siate tristi per me.

Sedici mesi dopo nacque nostra figlia; e dopo altre due settimane, il giorno del mio compleanno, la secondogenita di mia sorella.
Finalmente luce, dopo tanta oscurità.

Nei vagiti — prime parole selvagge — la vita scalpita.

22 dicembre 2021. Mia nipote deve fare la biopsia. Da giugno, dopo il vaccino anticovid, ha i linfonodi del collo duri come pietre. Servono controlli approfonditi.

I linfonodi dolenti richiamano alla memoria il tumore di mia cognata.
Affiorano brutti ricordi. Sto zitto, per non allarmare e per scaramanzia. Ma il silenzio non serve a nulla. La diagnosi è spietata: linfoma di Hodgkin.

Mio Dio, ha solo 23 anni…

Chemioterapia… radioterapia… si prospettano mesi di nausee, malessere, dolori, stanchezza. L’incubo di perdere i capelli. Come le foglie dai rami in inverno.
La buona notizia: 85 per cento di guarigioni. Dà speranza. Allontana l’inverno e anticipa il profumo dell’estate.

Sento mia sorella ogni giorno. M’informo, ma non so che dirle. Il silenzio non aiuta. Per contro, una parola non vale niente. Non cambia le cose. Ma sbaglio. La parola è vita. Può saltare oltre il recinto della malattia. Il silenzio no.

La scorsa settimana mia nipote ha fatto la seconda chemio. Tra una chemio e l’altra, un altro trenta all’università. Nonostante tutto guarda avanti. Oltre il recinto.

Mi complimento con lei via whatsapp.
Poi chiedo:
Se te la senti, uno di questi giorni facciamo due passi?
Risponde:
Certo, zio. Va bene oggi?
Penso:
Oggi, che bella parola.
Il passato è passato. Il futuro arriva attimo per attimo, adesso.
Scrivo:
Presente.