La vita ci riserva delle strane sorprese ma quando questa si chiama cancro e colpisce lei, moglie e madre della famiglia, improvvisamente ti crolla il mondo addosso.
Aspettavamo una bambina, ed era l’unica possibilità che avevamo dopo aver precedentemente superato un adenocarcinoma al primo stadio. Improvvisamente un dolore. Un dolore a cui avevamo dato le ipotesi più scontate fino alla verità: una massa retroperitoneale.
Appresa la notizia fummo sommersi da un silenzio frastornante.
Decidemmo di spostarci a Roma dove nacque prematuramente la nostra secondogenita. Davanti a quella gioia misi da parte quei pensieri frustranti e tormentati, era ora di rimboccarsi le maniche… La scelta terapeutica era la chemioterapia e per questo ci spostammo all’istituto oncologico di Napoli.
Rientrati a casa seguirono però momenti difficili; sentivo il peso di dover organizzare tutte quelle cose che nella quotidianità si dividono con naturalezza.
Cercavo di sostenere mia moglie; vedeva il suo corpo cambiare giorno per giorno e sapevo che questo le faceva male nonostante lei tentasse di nasconderlo. Sorrideva e giocava con le sue bimbe ma c’era un grande sofferenza in Lei, capii che l’aiuto di cui aveva bisogno non era solo fisico, aveva bisogno del mio sostegno psicologico. Mi resi conto che potevo fare leva sull’amore che ha per le sue figlie. Nonostante la sua debolezza fisica cominciai a renderla partecipe nella loro gestione distraendola da quei brutti pensieri che l’angosciavano.
Dovevo starle accanto... La mia presenza le dava sicurezza soprattutto durante gli interminabili cicli di terapia. L’obiettivo era rasserenarla.
Nelle uscite avvertivo gli sguardi devastanti che la facevano sprofondare nello sconforto più totale. Allora le ripetevo che era solo un momento, i capelli sarebbero ricresciuti, il viso non sarebbe stato più pallido e avrebbe avuto la forza di fare anche lunghe passeggiate.
Nonostante le mie paure, le perplessità e le incognite per il futuro la cosa che più mi interessava era starle accanto, farle capire che ce la potevamo fare e che per nessun motivo dovevamo gettare la spugna.
Sicuramente l’amore per lei e per le mie figlie mi ha dato la forza di affrontare le numerose giornate caratterizzate dall’intenso dolore che molte volte ci ostacolava. Infine, un ricovero. Ebbi paura, la malattia stava prendendo il sopravvento, la terapia non dava i risultati sperati, ma non potevo e non volevo che queste emozioni trasparissero. Imparai ad indossare una maschera per starle accanto dandole fiducia e forza e soprattutto per non trasmettere ansia e paura alle nostre figlie proteggendole dalla sofferenza di quei momenti.
Un giorno finalmente ci fu la notizia che aspettavamo: era stata arruolata in un protocollo di studio dove veniva utilizzata l’immunoterapia. Eravamo al settimo cielo e con noi anche il team di oncologi che ci segue e che non ci ha mai lasciato soli. Avevamo una nuova opportunità, una speranza. Iniziammo a vedere dei miglioramenti e io la spronavo sempre di più perché le risposte positive finalmente stavano arrivando.
A distanza di mesi stiamo riprendendo in mano la nostra vita: ogni giorno la incito a fare sempre più e spesso le dico di non scoraggiarsi perché il percorso è lento ma non impossibile. Non è semplice accettare queste patologie, ma bisogna avere il coraggio di affrontarle in tutta la loro complessità, anche se molte volte sono caduto, ho ritrovato nell’amore la forza per rialzarmi e superare quei limiti che la malattia ci impone.