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Roche – A fianco del coraggio
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Io lo ricordo bene, quel giorno sul Monte Bianco. E mi ricordo perfettamente cosa provai nel vedere quella teleferica, che partiva a pochi metri da noi e si inerpicava nel cielo, sparendo tra le nuvole. Babbo e mia sorella Nadia non vedevano l'ora di salirci, di raggiungere quei 4mila metri, guardare il mondo dall'alto e sentirsi un po' meno piccoli. Io no.
Soffro tremendamente di vertigini sin da quando sono piccolo. Mia nonna ha sempre sostenuto che sono un prudente, mia sorella che sono un fifone. Mio padre, invece, ha battagliato per anni nel tentativo di farmi superare questo scoglio, spesso costringendomi a traumatizzanti giri su montagne russe che ho provato – senza successo – a dimenticare.
Mamma ha sempre capito questo mio limite ed oggi, a 24 anni compiuti, riconosco questa mano costantemente tesa verso me in mezzo alla bufera del nostro burrascoso rapporto.
Lassù, poco prima che iniziasse la nostra salita verso le nuvole, avevo fatto di no col capo: in quell'istante, avvolto dagli occhi della mia famiglia, avrei giurato che la Terra avesse smesso di girare, ghiacciata tra la neve del Monte Bianco e quell'unico pezzo di materia che, lentamente, continuava a muoversi: era la teleferica che faceva su e giù, appesa ad un filo che mi pareva ogni secondo più sottile.
Incrociai lo sguardo di mio padre, che severamente mi faceva capire che il mio rifiuto rischiava di rovinare la vacanza mentre io, immobilizzato, avevo solo trovato la forza per concedere la discesa ad una lacrima lungo la mia guancia.
La diagnosi del cancro di mamma è arrivata anni dopo, quando l'estate del Monte Bianco era diventata un ricordo e tante fotografie. Quel giorno lei, con tutti i suoi capelli e il suo sguardo non ancora graffiato dalla malattia, aveva detto: “Resto io qui giù con lui”. Mi era bastato, e quasi per ricambiare e dare un senso a quel gesto, avevo deciso di salire sulla teleferica: credo che in fondo troviamo la forza di superare i nostri limiti solo quando lo facciamo per qualcun altro.
Ho accompagnato mamma all'ospedale ogni mattina durante la chemioterapia; tantissime volte le ho mentito, dicendole di vederla sempre uguale al giorno prima. Spesso ho riso forzatamente, mentre scherzosamente sistemava in modo buffo la parrucca.
Affrontare il tumore, del resto, è come affrontare la teleferica, sospesi ad un filo che ogni giorno sembra più sottile, ma superare le vertigini è più facile quando qualcuno ti stringe la mano.
Nella prima seduta di chemio non è cambiato assolutamente nulla dal giorno precedente, perché la cabina è ancora saldamente piantata a terra, sulla neve. Poi sale, sempre più su, perdendosi tra le nuvole e i suoi infiniti esiti. Non ci sono prudenti o fifoni, vincenti o vinti. C'è un viaggio, un percorso e un dirupo. C'è la paura di salire.
E io, mamma, salirò con te.